Lavoro e Immigrazione - Movimento Incazzati

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LAVORO E IMMIGRAZIONE

Anche sul tema del lavoro ci sarebbe da parlare indefinitamente. Oggi si parla tanto dei redditi dei lavoratori che sono bassi, spesso al limite della sussistenza. Quando si dice che molte famiglie non arrivano alla terza settimana se non addirittura alla seconda è una sacrosanta e incontrovertibile verità. Ma come mai si è arrivati ad una situazione così drammatica? Eppure la categoria dei lavoratori  è stata sottoposta a tantissimi sacrifici:  primo fra tutti la rinuncia degli stessi, tramite referendum, alla famosa “contingenza” o “scala mobile” che permetteva ai redditi da lavoro di recuperare il proprio  valore reale che veniva falciato dall’inflazione.
I politici ed i sindacalisti di allora furono così bravi da convincere i lavoratori a rinunciare a tale istituto in quanto ciò avrebbe permesso a tutto il sistema produttivo di beneficiare dei conseguenti  minori  costi e di più bassi oneri sociali ed aumentare così la produttività  del lavoro in modo che questa  si ripercuotesse positivamente sui prezzi dei beni prodotti con conseguente maggiore concorrenzialità  dei prodotti stessi in confronto a quelli di provenienza estera. Ebbene, tale rinuncia ha dato fiato soltanto alla classe imprenditoriale senza nessun vantaggio per i lavoratori. L’inflazione ha continuato sempre il suo percorso verso l’alto e di conseguenza  il reddito reale dei lavoratori verso il basso.  
Non solo, nell’ambito dei rinnovi contrattuali ci sono categorie di lavoratori che usufruiscono sempre di rilevanti aumenti di salari e stipendi ogni due/tre anni (bancari, assicurativi, aziende municipalizzate dell’acqua, del gas, dell’elettricità, e non parliamo poi dei dipendenti del Senato, della Camera, del Quirinale, della Corte Costituzionale, della Banca D’Italia ecc.) e possono più che compensare la falcidia dell’inflazione, a  differenza di altre categorie di lavoratori (dipendenti pubblici in generale: istruzione, sanità, ecc.) che  non vedono mai  rinnovati i propri contratti nei tempi concordati ma vengono lasciati “scivolare” per diversi anni per poi spuntare aumenti da miseria (100 euro in tre anni che spesso diventano cinque, sei, sette).
Un tale andazzo ha fatto si che nel corso di più rinnovi contrattuali la forbice dei redditi tra i lavoratori delle categorie suddette si allargasse sempre più, tanto che si è giunti al paradosso che un commesso o un impiegato d’ordine della prima categoria di lavoratori  guadagna in modo spropositato molto di più di un dirigente della seconda categoria di lavoratori.
Grazie Sindacati. Siete riusciti sicuramente nell’ambito del mondo del  lavoro  a formare due categorie di lavoratori: quella dei benestanti e quella dei poveri. E’ notizia di questi giorni (2010/2011) che il rinnovo dei contratti dei dipendenti degli Enti Locali (Regioni, Province e Comuni) ha comportato un aumento di 63 Euro lordi  al mese a regime ( si avete capito bene la miseria di 63 Euro).
Grande conquista salariale. Adesso i suddetti dipendenti potranno darsi alla pazza gioia, incentivare  con le loro spese i consumi e  di conseguenza far accrescere l’economia del Paese. Ma come sono bravi i nostri sindacati ed i nostri politici. Li dobbiamo proprio ringraziare per questo aumento degli stipendi così alti.  Grazie per il vostro buon cuore . Ma siate seri almeno una volta nella vostra vita. Ma non sbraitavate su tutti i media che  per incentivare i consumi dei cittadini (impiegati e pensionati) si sarebbero dovuti aumentare  i  loro redditi in modo sostanziale e non in modo fittizio come invece di fatto avviene. Non vi vergognate affatto di fronte ai vostri elettori delle menzogne che dite e delle promesse che fate.
La scusa ricorrente che mettete sempre davanti  è la lievitazione della spesa pubblica e l’indebitamento  dello Stato. Ma quando elevate in modo spropositato i vostri stipendi e quelli dei dipendenti pubblici dei suddetti Istituti ( Senato, Camera, Corte Costituzionale ed altri), con i soldi dei cittadini che pagano le tasse  non aumenta la spesa pubblica? Di recente si è saputo di un commesso della Camera che è andato in pensione a 54 anni con più di 7.000 Euro al mese e con una liquidazione da nababbo. E tutti gli impiegati di concetto i quadri ed i dirigenti di queste istituzioni quanto guadagnano? Quali liquidazioni percepiranno? Quali pensioni avranno?
Un povero Cristo che lavora per 35/40 ed anche più  è tanto se riuscirà  ad avere una pensione di 1000/1500 Euro/mese. Non solo i nostri politici vogliono riformare le pensioni (degli altri) per darle in misura ancora inferiore, I prossimi pensionati (i nostri figli) avranno degli emolumenti da fame. Si dice perché non si costituiscono allora delle pensioni integrative questi cittadini?
Cari signori politici le dobbiamo fare sottraendo redditi  dai nostri miseri stipendi  che non ci consentono oggi di arrivare a fine mese?  Che dire poi dei precari.. Anche qui grosse concessioni dei sindacati e dei politici tutti alla classe imprenditoriale che ne fa buono e abbondante uso. Tale intervento legislativo doveva servire agli imprenditori, come per la  contingenza, per abbassare i costi del lavoro, aumentare la produttività e quindi la concorrenzialità dei prodotti italiani rispetto a quelli esteri. Non sembra che si siano raggiunti importanti risultati se non quelli legati al solo aumento dei lavoratori precari.  
Quali prospettive di vita si dà a questi lavoratori? Su quale reddito sicuro nel tempo possono fare affidamento? Nessuno. Non è possibile che in uno stato moderno e civile ci siano  lavoratori che  rimangono precari per anni se non per decenni.  I politici che fanno? Parlano soltanto.  Hanno il coraggio di dire ancora che è una legge giusta quella sul precariato. Come si vede non intervengono affatto,  d'altronde sono loro che hanno fatto la legge  per favorire la flessibilità  del lavoro e soprattutto favorire l’aumento dei profitti delle imprese. Ma questi profitti che fine hanno fatto? Forse parte degli stessi sono stati usati  per la ristrutturazione e  l’ ammodernamento delle imprese per migliorare la competitività dei propri prodotti? Tutto ciò non sembra sia avvenuto se non in misura ridotta  visto lo stato di perenne crisi dell’economia nazionale. E i sindacati invece cosa fanno? Sono completamente assenti.
Sapete qual è il nostro pensiero? La flessibilità del lavoro può andare bene per le aziende in crisi  per un periodo limitato,  al fine  di dare alle stesse  la  possibilità di riprendersi dal  loro  stato precario e dar loro modo di riattivare con  la recuperata  redditività il  normale ciclo produttivo. Per questo c’è la CIG (cassa integrazione guadagni).  
Per le  aziende non in crisi si  dovrebbero premiare quelle  che favoriscono l’assunzione di lavoratori precari con interventi fiscali ad hoc ( es. fiscalizzazione degli oneri sociali, tassazione dei profitti più favorevole ecc.) e  quelle che reinvestono nell’azienda parte dei propri profitti e penalizzare quelle che proditoriamente insistono con tali lavoratori, che vengono quasi sempre licenziati  al termine del periodo contrattuale  senza alcuna  ragione,  per poi  ricominciare  nella stessa maniera con altri soggetti precari.
Ma  dove sta  e cosa fa la nostra classe imprenditoriale che si lamenta sempre degli alti costi del lavoro  e della conseguente  ridotta  competitività dei beni prodotti ? Che forse in Germania, in Olanda, in Francia, in Svezia, in Svizzera, ecc. il costo del lavoro è più basso?  Forse i lavoratori di questi paesi guadagnano meno dei nostri o hanno minori protezioni sociali rispetto a quelli degli italiani?  Non ci risulta  proprio. Il livello di vita  dei lavoratori dei suddetti paesi  è di gran lunga  superiore al nostro. Allora dove sta l’inghippo? Dobbiamo ammetterlo, tranne qualche rara eccezione, le imprese italiane, la maggior parte medio piccole, non riescono a competere con aziende estere più grandi,  più capitalizzate e quindi  più  produttive.  Dare sempre  la colpa  ai lavoratori italiani che ottengono salari mensili  da fame non è davvero il caso.
La verità  è che la classe imprenditoriale italiana ha sempre fatto  investimenti insufficienti  in rapporto ai profitti  realizzati  così compromettendo la propria  competitività rispetto ad analoghe  aziende estere  maggiormente capitalizzate,  quindi più produttive,  che riescono a porre sul mercato beni  concorrenti a costi più bassi..  Inoltre, molti dei profitti non reinvestiti nell’industria sono stati veicolati nel settore immobiliare e nel settore finanziario dove i guadagni  sono risultati più facili e soprattutto enormemente più ampi, come abbiamo detto più sopra.
Insomma, cosa è stato dato al mondo del lavoro? Poco, troppo poco in confronto ai sacrifici dei lavoratori. E’ pur vero che sono stati commessi tantissimi errori sia dai politici che dai sindacati. Quanti pseudo lavoratori sono stati assunti senza arte né parte solo perché si aveva la “raccomandazione” politica e/o sindacale. Ogni cambiamento di Governo, di sinistra , di destra o di centro, è stata occasione per fare un’infornata  di nuove assunzioni senza che ce ne fosse stato alcun bisogno ( da ultimo, se le notizie risultano veritiere, Storace ex Governatore della Regione Lazio, ha fatto assumere 400 dirigenti,  prima di lasciare la propria carica istituzionale).
Per fare cosa? Quali funzioni  e quali incarichi sono stati loro attribuiti? Quali uffici occupano? Chi sono andati a sostituire o a integrare?  I Dirigenti che già operavano nell’ambito della  Regione quali attribuzioni e funzioni hanno adesso? Qualcuno ha indagato su questo modo di governare e di sperperare il denaro pubblico?  
Il Sindaco Alemanno e la sua giunta di recente ha fatto la stessa cosa. Un’infornata di parenti e amici assunti a tempo indeterminato come impiegati e dirigenti nell’azienda pubblica di trasporto di Roma (circa 800 persone). Quale apporto produttivo ed economico potranno mai offrire questi soggetti all’azienda quando ci risulta che nella stessa già c’era un  più che abbondante numero di  impiegati, oltretutto, sottoutilizzato, mentre  il numero degli autisti, molti sono i  precari,  risulta insufficiente? Questi ulteriori costi che vanno ad incidere pesantemente sul bilancio dell’azienda , sull’orlo del dissesto finanziario, chi li pagherà sig. Sindaco Alemanno? Forse Lei? No. Saranno solo i cittadini, si i soliti cittadini che debbono “accettare le prepotenze e le angherie  del ceto politico. Ma stiano  accorti che quando cambierà veramente l’aria che sta loro intorno dovranno pagare  tutto il mal fatto e rimborsare  tutto il maltolto.
Ancora! E qui entriamo in un campo alquanto scottante. Chi indaga sulla piaga del lavoro nero e sulle imprese che lo  utilizzano? Si possono chiamare esse stesse  imprese (o meglio i conduttori i c.d. imprenditori) secondo la dizione che ne da il Codice Civile? Secondo noi no perché un’organizzazione imprenditoriale deve  sempre operare secondo le  prescrizioni di legge e chi non è in grado di ottemperarle  non può stare legalmente sul mercato e fuorviare la concorrenza. Per cui tali imprese, se ci fossero i dovuti e capillari controlli, dovrebbero in primis essere sanzionate in modo consistente, e in caso di recidiva, poste, sempre in termini di legge, nella condizione di non operare più. Oggi soprattutto nel campo dell’edilizia si ha il più ampio utilizzo di lavoro nero, in modo particolare straniero. In Italia tutti possono fare gli imprenditori ed è giusto. Ma chi controlla successivamente l’organizzazione e l’operato dell’imprenditore?
Se il titolare di una impresa si avvale per la sua attività di lavoratori precari o operanti in nero si può chiamare imprenditore? Secondo noi no! Quindi o modifica il suo modo di operare o come detto sopra non deve essergli consentito in alcun modo di fare impresa. Forse non è superfluo dire che occorrerebbe riformare le normative di legge in vigore al fine di renderle più severe e soprattutto “penalmente rilevanti”.
E a proposito di lavoro precario e di lavoro in nero a questo punto ci corre l’obbligo di introdurre il problema dei lavoratori  stranieri regolari e non, quindi dell’immigrazione regolare e clandestina.  Sono tantissimi anni che il nostro Paese, attraverso le vie diplomatico/consolari, favorisce l’entrata regolare di cittadini stranieri, anche extracomunitari per consentire alle imprese italiane e non di utilizzare manodopera a basso costo, altrimenti non reperibile  ( si parla di flussi migratori annui dell’ordine di 70/80/120.000  persone). Si dice sempre che i  detti flussi migratori occorrono e sono indispensabili perché gli italiani non vogliono più fare  lavori  faticosi ed usuranti. Sarà in parte anche vero, ma non ci crediamo più di tanto. Infatti, perché allora quei poveri lavoratori italiani della ThyssenKrupp, morti di recente in fonderia (dic.2007)  per inadempienze delle misure di sicurezza, erano sul posto di lavoro in quel tragico giorno malgrado la loro attività fosse di natura estremamente pericolosa e   logorante? Erano lì perché il lavoro era loro indispensabile; perché procurava loro un reddito, seppur basso, tale da poter almeno sopravvivere. Queste, cari incazzati come noi, sono le condizioni in cui tantissimi lavoratori sono costretti ad operare giornalmente.
E se i suddetti lavoratori continuavano a lavorare in fonderia , malgrado essa  doveva a breve essere dismessa e chiusa  per trasferirsi successivamente  a Terni, non lo facevano mica per la propria gloria, ma per estrema necessità.
Quindi che gli italiani non vogliono più fare lavori faticosi ed usuranti è una balla vera e propria ed è smentita dai fatti. Lasciamo dire queste balle ai politici (o meglio politicanti) o chi come loro hanno interessi che con il lavoro non hanno niente a che fare. Diciamo invece quel che pensiamo senza ombra di sbagliare più di tanto.
Da quando è entrato in vigore l’euro le imprese italiane sono state messe completamente  a nudo, dovendo competere con analoghe imprese straniere (europee ed extraeuropee) più capitalizzate e, come abbiamo accennato più sopra, con più alta produttività e costo del lavoro relativamente più basso ( malgrado i salari siano più alti rispetto al nostro paese, ad eccezione dei paesi dell’est europeo  e dell’Asia). In passato (prima dell’introduzione dell’euro) il Governo italiano consentiva con manovre di politica economico/monetaria  di rendere più competitive le merci delle nostre imprese  attraverso ricorrenti  svalutazioni della nostra moneta, la  lira.
Oggi nel nostro Paese,  facendo parte della CEE, dove vige la moneta unica, l’euro,  la politica della svalutazione non è più fattibile, per cui si è ricorso non solo con la  manodopera straniera per mantenere  bassi i salari, ma anche con il lavoro precario imposto per legge. Quindi la competizione delle nostre merci sui mercati internazionali avviene attraverso escamotage, tutti a scapito del mondo operaio italiano. Se gli imprenditori italiani avessero investito  i loro profitti (in misura percentuale simile a quella degli imprenditori esteri)  nelle loro aziende per migliorare la produttività e la qualità dei propri prodotti, per innovare i prodotti stessi attraverso la ricerca non ci troveremmo in queste condizioni e ci sarebbe stato anche spazio per aumentare i salari, ragione per cui  la così detta fuga dei lavoratori dalla  fabbrica non sarebbe mai avvenuta o sarebbe stata di dimensioni molto più ridotte.
Siamo del parere che se si fosse offerto e venisse ancora offerto ai lavoratori dei vari comparti del settore industriale un salario dignitoso di operari italiani nelle fabbriche ne troveremmo a iosa  e senza difficoltà.  In sintesi  con  bassi salari  non si va in paradiso e non si incentivano di certo i giovani  italiani ad entrare nel mondo del lavoro, oltretutto precario. Per cui la favola, tutta del ceto politico/ imprenditoriale, che i lavoratori italiani non desiderano fare determinati lavori è sostanzialmente falsa.
Che vengano pagati meglio e la musica sarà di tutt’altro tono. E Il problema è sempre lo stesso:  massimo sfruttamento del lavoro = massimo profitto.
Non vogliamo qui sembrare difensori a tutto spiano del mondo del lavoro. Siamo difensori di quello onesto, operativo, produttivo e non di quello speculativo che cerca ogni occasione per fare assenze e rendere la vita ai propri colleghi  più pesante. Il discorso vale anche per la classe imprenditoriale, ce né di onesta e di disonesta. Qui entriamo in un campo davvero ampio e per certi versi spinoso e in questo momento crediamo sia meglio non soffermarcisi.

 
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